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Teatro Bellini: Moby Dick alla prova - Dal 7 al 12 febbraio

3/2/2023 - Siamo in un teatro americano alla fine dell’Ottocento. Inizia così la riduzione che Orson Welles fece nel 1955 del Moby Dick di Melville e che debuttò in versione teatrale a Londra.

Un’operazione che a prima vista parve impossibile, soprattutto perché l’obiettivo di Welles era quello di mettere in scena l’acqua, l’oceano in tempesta, il capodoglio assassino e la ricerca di Achab contro il destino. Appuntando i nomi di Brecht e Pirandello, senza cui nulla del teatro d’oggi avrebbe senso, sul proprio taccuino, Welles si inventa una compagnia che prova come nei Sei personaggi e un’azione drammatica che si sdoppia sempre tra attore e personaggio. Nasce così, in una scena vuota, che sarà poi agitata da un enorme telone nella parte dell’oceano – memore dei mari in tempeste di Strehler -, Moby Dick alla prova, capolavoro drammaturgico che rinasce grazie alla straordinaria bravura bifronte di Elio De Capitani, attore e regista. Quella di De Capitani è una gigantesca sfida al grande romanzo americano.

Lo spettacolo, in questa sua versione, funziona come un Cuore di tenebra riuscendo ad essere colossale ed intimista allo stesso tempo. Il testo di Melville chiarisce la sua natura di avventura e di apologo sul senso della vita e della lotta tra Bene e Male, portandosi dietro quel ineluttabilità del destino che chiude tra le onde gli sforzi disumani di Achab, un Ulisse di ritorno. La scena, popolosa ma disadorna, diventa proprio quella Magnifica ossessione che il romanzo era diventato per Welles, il quale iniziò addirittura a girarne una versione cinematografica, mai finita.

Oggi, complice l’eternità del capolavoro e la bravura di De Capitani e del suo magnifico ed entusiasta gruppo di attori, la prosa del romanzo vira senza parere verso la poesia con la forza immaginifica del romanziere e gli sforzi del grande artigianato teatrale che evoca i suoi rintocchi come teatro, pittura, musica – insomma, illusione. Tutto l’allestimento, anche nelle difficili soluzioni acquatiche, ha una sua funzione e una sua etica teatrale che non è soltanto una ben risolta serie di esigenze tecniche. Non ci sono computer né grafici né video in questo Moby Dick, ma lavoro, fatica, mani e ombre che si stagliano su orizzonti dipinti, fra luci e canti. Un grande esempio di metateatro che solca due mari in cerca di una bianca balena, mentre scoppia una tempesta che non ha nulla da invidiare a quella che colpisce il povero vecchio Lear nel bosco. Un gioco crudele di potere e vendetta si dispiega, mentre in scena vediamo sgabelli, banconi, scale, pedane avvolti in luci plumbee, così come i costumi «dark» di Ferdinando Bruni. Immaginiamo i gabbiani, il fragore delle onde, i colori del temporale e la potenza delle tenebre. Elio De Capitani, assieme ai suoi compagni di palco, racchiude in sé tutte queste suggestioni in un fruire di intenzioni e di sintonie.